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RECENSIONE QUEL CHE AFFIDIAMO AL VENTO

«Anche la cosa più enorme la puoi tagliare in piccolissime parti» sussurrò allungando il palmo per accarezzare la guancia della bambina. «Anche il problema più grande. Tutto quanto lo si può infilare in una cornice.»

Autore: Laura Imai Messina

Casa Editrice: Piemme

N° Pagine: 256

Disponibile: Copertina rigida/ Audiolibro / Kindle



Trama: Sul fianco scosceso di Kujira-yama, la Montagna della Balena, si spalanca un immenso giardino chiamato #BellGardia. In mezzo è installata una cabina, al cui interno riposa un telefono non collegato, che trasporta le voci nel vento. Da tutto il Giappone vi convogliano ogni anno migliaia di persone che hanno perduto qualcuno, che alzano la cornetta per parlare con chi è nell'aldilà.

Quando su quella zona si abbatte un uragano di immane violenza, da lontano accorre una donna, pronta a proteggere il giardino a costo della sua vita. Si chiama Yui, ha trent'anni e una data separa quella che era da quella che è: 11 marzo 2011. Quel giorno lo tsunami spazzò via il paese in cui abitava, inghiottì la madre e la figlia, le sottrasse la gioia di essere al mondo. Venuta per caso a conoscenza di quel luogo surreale, Yui va a visitarlo e a Bell Gardia incontra Takeshi, un medico che vive a Tokyo e ha una bimba di quattro anni, muta dal giorno in cui è morta la madre.

Per rimarginare la vita serve coraggio, fortuna e un luogo comune in cui dipanare il racconto prudente di sé. E ora che quel luogo prezioso rischia di esserle portato via dall'uragano, Yui decide di affrontare il vento, quello che scuote la terra così come quello che solleva le voci di chi non c'è più.

E poi? E poi Yui lo avrebbe presto scoperto. Che è un vero miracolo l'amore. Anche il secondo, anche quello che arriva per sbaglio. Perché quando nessuno si attende il miracolo, il miracolo avviene.


“Se anche il tifone avesse disarcionato o strappato qualcosa, lei sarebbe rimasta lì per rimettervi mano. La cosa più elementare, ovvero che la fragilità non fosse nelle cose quanto nella carne, l’idea che gli oggetti materiali conoscono riparo e sostituzione, ma il corpo non si ripara, che sì, magari è più forte dell’anima – che quando si spezza è per sempre – ma che lo è meno del legno, del piombo o del ferro, non la sfiorò. Il pericolo non lo avvertì neppure un momento sulla sua persona.”

Ho cercato questo libro, perché anche io avevo indispensabile necessità di affidare qualcosa al vento. Tante parole non dette, sepolte da anni nei meandri dello stomaco. Passerei ore a quella cornetta a dire a delle persone quanto mi mancano e ad altre quanto rancore o “indifferenza” ho avuto per loro, anche se alla fine ho avuto la possibilità di perdonare e dispiacermi per le occasioni perdute.


Quel Che Affidiamo Al Vento”, per quanto Laura Imai Messina, ci spieghi essere un racconto di fantasia per poter avere una struttura concreta e coerente di fatti sulla quale far ruotare la storia della “Cabina del vento” (#KazenoDenwa), è una serie di racconti di persone, all’interno della storia principale, le quali puntualmente si alternano su quella collina a #Otsuchi, per parlare con i propri cari: chi racconta la propria quotidianità, chi sfoga la sua frustrazione, ognuno a modo suo, come dice il vecchio Suzuki San.

«Una volta un uomo mi ha detto che la morte è una cosa talmente personale…» aveva raccontato Suzuki san. «In qualche modo la vita cerchiamo di costruirla uguale a quella degli altri. Ma la morte no. A quella ognuno reagisce da sé…»

La storia vede come protagonisti principali Yui e Takeshi, conosciutisi a Otsuchi alla Cabina del vento. Pagina dopo pagina si avvicinano, con delicatezza, supportandosi vicendevolmente nell’appuntamento mensile che li vede affrontare il viaggio in macchina insieme verso Bell Gardia, in un amore platonico tipico delle storie della cultura nipponica.


L’eccelso e delicato lavoro di osservazione delle piccole sfumature del mondo esterno, portano come risultato nella narrazione un susseguirsi di descrizioni che si concretizzano, attraverso Yui, in un continuo monologo introspettivo al lettore fuori campo, il quale non si sente escluso bensì coinvolto e straordinariamente sempre motivato all’attenzione.


Il romanzo è un tripudio di dettagli, la ferrea volontà di Laura è far il lettore sempre più partecipe. Durante la narrazione tralascia particolari o liste inutili ai fini della storia, per far scorrere la lettura fluida senza intoppi; a fine capitolo però inserisce simpatiche postille che approfondiscono il “dettaglio” assolutamente superfluo: le tracce della colonna sonora durante il viaggio a Bell Gardia, l’elenco dei dolciumi comprati da Yui al Combini, le pietanze inserite nel Bento la sera prima, etc…


Quella di Yui è una storia davvero toccante, ed è la storia vera delle tantissime persone che hanno vissuto sulla propria pelle lo tsunami del 2011 a #Tokyo.


Per le persone molto empatiche è un romanzo colmo di emozioni travolgenti. Per chi ha perso qualcuno, dipende da come la vive, è una lettura da affrontare con un po’ di cautela.


Riscontro essere davvero il “tipico romanzo” che reincarna la bellezza, la profondità e la delicatezza della cultura giapponese: potente nel significato ma al tempo stesso leggero come una piuma nella semplicità delle parole utilizzate.


Come la natura, equilibrato e perfettamente bilanciato in ogni espressione utilizzata, con coerenza e rispetto del tema trattato e verso le persone di cui si parla, molte delle quali hanno visto giorni terribili e cari dispersi.


È stata una lettura terapeutica ed emozionante, ma questa volta per altri punti di vista.


Spero un giorno di poter visitare la cabina del vento, mi piacerebbe davvero tanto.


Buona lettura!





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